La missione del Vagabondo del Porto – parte II

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25 ottobre 2012 di thesurvivaldiaries

–          Stammi vicina e tieni le mani bene in vista – continuava a ripetermi – Non abbassarle neanche per un secondo, muoviti lentamente e non guardarli negli occhi, non vedono l’ora di assaggiare il tuo culo.

Superiamo così la Barriera degli MT. In religioso silenzio, occhi bassi, passo lento. Mattia porta con sè un grosso sacco di iuta con dentro il fucile. Sopra il sacco la scritta SCAMBIO. L’uomo che ci perquisisce ha una tuta intera da operaio dell’Enel, nel chinarsi a perquisirci noto il tatuaggio lungo il collo. La grande ciminiera, dal tratto tremolante e sbavato, sbuca dal colletto della maglia.

–          Cosa portate?

–          È un grosso fucile da combattimento, c’è anche un caricatore da 30 colpi. È in ottime condizioni, vogliamo scambiarlo con del cibo.

L’uomo dell’Enel ride, fissandomi.

–          Oh ma qui ne avresti di cibo, vecio. Tanto buon cibo da fare alla griglia, con un pizzico di sale e qualche erbetta di campo – sussurra, avvicinandosi a me.

Cerco di non guardarlo negli occhi, di fissare un punto dell’orizzonte oltre la sua testa. La sua puzza mi strangola le narici e per un secondo immagino cosa possano essere le sue mutande. Ma probabilmente neanche io emano profumi d’oriente.

–          Dammi i 30 colpi – ordina l’uomo dell’Enel.

Mattia glieli consegna e in cambio riceve un pezzo di carta con su scritto “ci sono anche 30 colpi, controllato” seguito da una firma incomprensibile. Inserisce il pezzo di carta dentro al sacco di iuta e ci fa cenno di proseguire. Le grandi inferiate si aprono. Ed eccoci nel Regno della Regina delle discariche.

Il Mercato Nero è un posto di merda. Ha le fattezze di una terrificante officina di carne. È un immenso capannone, una decina di metri di raggio, con bancarelle e lucette ovunque, come il mercatino di Natale in Prato della Valle. Squadroni di MT sorvegliano la zona muovendosi a due a due ed osservando gli scambi di merce. Se notano qualcosa di strano, se qualcuno alza la voce, o se hanno semplicemente voglia di sfogarsi, giustiziano la persona lì sul posto. Non ti sta bene il baratto? Ti senti svantaggiato dallo scambio e vuoi protestare? Un colpo sulla nuca, inverosimilmente preciso. Ti sgonfi come un palloncino, scomparendo tra la folla. Il tuo corpo non viene né spostato né mangiato. Rimane lì, come monito per chi verrà dopo di te. Trasformandosi in poltiglia rivoltante. Davanti a tutti.

La morte in diretta. Lunghissima diretta.

–          Mettiti la sciarpa sul naso e respira dalla bocca – ordina Mattia, facendo lo stesso.

I miei occhi lacrimano, per tanti motivi. Ci spostiamo verso sinistra, cercando di mantenere discrezione. Osservo la luce del tramonto tagliare di netto le ombre dei morti, colorando l’atmosfera di un complice rosso fuoco. Camminando lentamente tra la folla puoi intuire la vera disperazione della nostra nuova realtà. Un flusso di vite interrotte. Dio che ci ha dato il benservito. Chiudo gli occhi, immagino le fresche mattine di mercato con mia madre e mia nonna. La gioia nel poter scegliere un regalino da portarsi a casa. Gli occhi avidi e impazziti, che passano da una bancarella all’altra in cerca dell’oggetto dei sogni, quei sogni che ancora non conosci, ma che sono già meravigliosi. Ora, qui, cerchi di non pestare crani e di non scivolare su budella. Ma il movimento degli occhi resta lo stesso. Impazzito.

–          Mi scusi signorina, vorrebbe far baratto?

La vecchietta è bassa, minuta, ingobbita. Mi sorride da lì sotto, col viso sporco di fango e polvere. Mi allunga una piccola macchina fotografica digitale.

–          Mi dispiace signora, non ho niente da barattare con lei…

–          Sì, sì, signorina, questa macchina è bellissima e funziona benissimo, guardi.

La accende, mette a fuoco le mie scarpe, cerca di appoggiare l’occhio in un mirino che non esiste e scatta la foto. Il flash rimbalza sui miei vestiti. Qualcuno volta lo sguardo verso di noi.

–          Lo vede signorina, funziona tutto, è bellissima, non è bella? Non vuole far le foto a lei e al suo fidanzato?

Mattia, poco vicino, alza gli occhi al cielo e sorride leggermente. Mi scopa ma fa l’imbarazzato con l’amore. Che dolce.

–          È molto bella signora, ma io non ho niente da darle.

–          Sì sì signorina, io voglio le sue scarpe. Arriva l’inverno e sa, io ho tanto freddo ai piedi, ho sempre freddo ai piedi, anche in estate pensi, io voglio le sue scarpe, sembrano comode signorina, le va bene lo scambio? Facciamo baratto?

–          Ehm signora, non saprei..

Lei è lì, col sorriso stanco, i piedi avvolti in due sacchetti del Pam. Tiene la digitale con entrambe le mani, le allunga verso di me e sorride. Beh, ecco, in quel momento le avrei dato anche le mutande. Il buco che avevo nel cuore si stava allargando. E nel ricordo delle mie due bellissime e dolcissime nonne, ho fatto quello che andava fatto.

Mi tolgo le scarpe e gliele consegno, lei mi ringrazia tanto. Mi ringrazia così tanto che le concedo anche i calzini. Le chiedo se mangia abbastanza e se qui la trattano bene.

–          Mi hanno fatto un tatuaggio, sa signorina. Alla mia età, ci crede? Che pazzi! Ma mi danno da mangiare qui, lo vede quel bell’uomo con fucile lì infondo? Quello è il mio bambino, non gli piace essere chiamato bambino, ma è il mio tesoro, Alvise caroooooooo, vieni qui tesoro, vieni che ti presento questa bella signorina che mi ha dato le scarpe.

–          No signora, non serve guardi, noi stavamo per andarcene, non serve.

Mattia mi prende per la maglia e mi strattona, tirando gli occhi. Ci allontaniamo, saluto la signora con la mano e giriamo l’angolo, prima che il prode Alvise ci venga a salutare col suo tatuaggio sulla nuca e il suo fucile d’assalto a tracolla.

–          Cosa cazzo ti è saltato in mente?

–          Scusa, ma l’hai vista? Aveva i piedi quasi blu, aveva freddo, è vecchia cazzo.

–          Non ti ricordi perché siamo qui? Cazzo Elisa, cazzo.

–          Sì io mi ricordi perché tu sei qui, perché sia qui io me lo son proprio dimenticato.

In verità so perché ero lì. Perché dovevo vedere. È molto semplice. Dovevo vedere e ora ho visto.

Prendo la macchina fotografica ed esco dal capannone. Tolgo il flash e con molta discrezione mi guardo attorno. E la vedo. Vedo lei, la Palladio, avvolta nella nebbia del dopo-tramonto. Così cupa, spettrale, immensa. La sento gorgogliare come un ruscello tra i sassi. Un rumore intenso, metallico, spaventoso. Ehi Carlo, questa è la nostra maggior risorsa. Ringrazia Area, l’untrice elettrica. Ringrazia gli MT, i mangiacarne del Porto. Il nostro blog, la nostra amicizia, la possibilità di condividere tutto quello che sta succedendo lo dobbiamo alla Palladio. Perché? Con calma, con calma spiegherò le cose.

–          Dobbiamo trovare Area.

–          Che progetto ambizioso – gli sussurro sarcastica.

–          Dobbiamo raggiungere la centrale, controllami il tatuaggio.

Il tratto della penna tiene, l’autunno è dalla nostra parte. La pelle resta secca abbastanza da non far colare via tutto. Anche lui controlla il mio tatuaggio. Toglie il fucile dalla sacca e la nasconde dietro un cassonetto. Ci dirigiamo verso i cancelli della Palladio.

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